Claudio Nassi (1977-1982)

direttore sportivo

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    Claudio Nassi: “Io e Mantovani, così nacque la grande Samp”

    Paolo Mantovani ha trasformato in realtà i sogni dei tifosi blucerchiati. Claudio Nassi ha portato a Genova i pilastri di quel ciclo d’oro. Ottantuno anni, nel suo ufficio c’è un biglietto incorniciato del Presidente datato 11 luglio 1985. “ Lo scudetto, se verrà, sarà principalmente per merito suo. Se non verrà, sarà l’Arno a vedere il tricolore ed a me andrebbe benissimo. Buon lavoro e grazie sempre di tutto”. Il tricolore arrivò sei anni dopo, a Firenze mai. Nassi portò in viola Baggio e Berti, ma durò solo fino al 1987 e chiuse così la sua esperienza da dirigente.
    Come mai era stato scelto dal Presidente?
    «Era addetto stampa nel 1975, quando ho venduto Ferroni, dopo un anno in C alla Lucchese, alla Sampdoria. Quel giorno, mi ha poi raccontato, ha pensato che avrebbe voluto un direttore sportivo che toglie 230 milioni a Lolli Ghetti. Aveva programmato di prendere la Sampdoria nel 1982, ma andarono a pregarlo a Busalla nel giugno 1979 e mando “Pinella” Baldini, un buon amico, a Pistoia per convincermi. Non fu difficile».
    Cosa ricorda del primo contatto.
    «Un carisma straordinario.
    L’obiettivo era tornare in A e continuare a vincere. Il primo compito del direttore sportivo è allenare il presidente e cominciai a spiegargli com’era il mondo del calcio. Fu facile, capiva al volo. L’obiettivo era cercare i migliori prospetti in C e B, dovevamo essere forti sul piano fisico, veloci e non offrire punti di riferimento in attacco».
    Ufficialmente non rimase molto a lungo, ma il rapporto proseguì?

    «Lasciai il 30 giugno 1982, dopo aver chiuso la trattativa di Mancini, che aveva richieste da Juventus ed Udinese. Lavoravo diciotto ore al giorno, ero esausto. Mantovani mi suggerì di fare una vacanza alle Seychelles e poi di tornare al mio posto, ma capì che ero deciso e così accettò. Gli suggerii anche il mio successore, Paolo Borea.
    Continuammo, però, a sentirci tutti i giorni».
    Quanto pesava Mantovani nel calcio italiano?
    «Devi lavorare su tutti i piani per avere quanto dovuto, sono fondamentali i rapporti, il Presidente aveva capito tutto. I vertici del calcio italiano, Nizzola e Matarrese, lo contattavano prima di ogni decisione. Era importante quanto la squadra in campo. Il calcio è fatto da dettagli, bisogna essere sul pezzo. Niente era lasciato al caso».
    Salsano lo aveva scoperto già a Pistoia, a Genova cominciò con Pellegrini e poi seguirono tutti gli altri.
    « Faustinho era il figlio del custode del campo di Cava dei Tirreni. Un talento puro. Luca era nazionale di serie C a sedici anni. Bravo ragazzo ed ottima famiglia».
    Vierchowod, Galia, Fusi, Mannini arrivarono dal Como.
    «Il ds Cecco Lamberti era un amico, voleva aiutarmi. Pietro lo scovai nel 1976 a livello giovanile. Sembrava ormai destinato all’Inter per novecento milioni, ma riuscimmo a convincere il presidente Gattei con 1,3 miliardi e la promessa di lasciarlo un altro anno, in modo da non far arrabbiare mister Marchioro».
    Per Galia, poi ceduto al Verona nel 1986, fu battuta la Juventus?
    «Si, andammo a Lugano per chiudere il giorno dopo la fine del campionato. Mantovani disse che aveva dieci relazioni negative su undici, l’ultima il giorno prima a Modena, ma si fidava del parere del sottoscritto. Roberto era instancabile, non smetteva mai di correre. La trattativa fu chiusa a due miliardi».
    Fusi e Mannini arrivarono insieme?
    «Bersellini voleva il primo a tutti i costi e Mantovani si era ormai impegnato, anche se ero contrario perché avevamo Pari.
    Così gli chiesi di prendere anche Moreno, di cui mi aveva parlato già molto bene “Vulcano” Bianchi, suo presidente ai tempi del Forlì. Il presidente fece un capolavoro e riuscì ad averlo in cambio di Guerrini».
    Pari rimase per tutto il ciclo, Fusi fu mandato al Napoli.
    «Fausto lo vidi personalmente due volte con il Parma.
    Interditore di grande corsa, era anche un ragazzo veramente in gamba».
    Infine gli ultimi colpi: Vialli e Lombardo dalla Cremonese.
    «Il presidente Luzzara doveva rientrare economicamente, ma voleva tenere il suo “gioiello” per un anno. Ero scettico, considerando i rapporti privilegiati con la Juventus, ma fui informato che Boniperti aveva finito i soldi per prendere Penzo. Chiamai il Presidente, era a Cap d’Antibes. Organizzò l’incontro e chiuse ad una cifra leggermente superiore a quella pattuita. In quel modo mise le premesse per prendere anche Attilio».
    Tanti grandi acquisti, ricorda “affari” sfumati?
    «Nel 1990 Mantovani aveva in mano Redondo. Nella notte, però, cambiò tutto, Vialli e Mancini lo convinsero che era lento e così arrivò Mikhailichenko. Otto anni prima poteva arrivare Robson, uno dei migliori cinque centrocampisti al mondo, grande amico di Francis. Il presidente optò per Brady, per fare una cortesia all’avvocato Agnelli, e non lo prese per 5,4 miliardi dal Manchester United. C’era tanta concorrenza, la Juventus mi “fregò” Bonini del Cesena e non parlai a Boniperti per 4 anni».
    È impossibile oggi ripetere il ciclo blucerchiato?
    «No, è ripetibile, non credo che manchino giovani interessanti.
    Basta saperli scegliere».
    Come funzionava la Sampdoria di Mantovani?
    «Eravamo pochi. Lavoravo da solo, diciotto ore al giorno dalle 7 alla notte all’1. Al mio fianco solo il segretario Mario Rebuffa ed il ragionier Traverso. Parlava solo il presidente. Questo non mi portò grandi simpatie, ma nel calcio si va avanti con la democrazia totalitaria oppure con il totalitarismo democratico».
    Ripeterebbe la scelta di lasciare nel 1982?
    «Fu un errore ed è diventato un grande rimpianto. La Sampdoria avrebbe avuto anche Baggio, Berti, Redondo, Van Basten.
    Sarebbe stata dura per tutti battere una squadra così, poteva essere la più forte di Europa».
    Si ricorda l’ultima volta che incontrò Mantovani?
    «Era ricoverato al Galliera, in cardiologia, stava già molto male. Alfredo Segre, suo medico personale, non mi assicurò che avrei potuto vederlo ed invece fui fatto entrare e non voleva più farmi andare via. È mancato pochi giorni dopo. Sono ancora legatissimo alla famiglia, ho vissuto un periodo eccezionale.
    Nelle società l’unico insostituibile è il presidente, gli altri devono solo pensare a fare meno errori possibili».

    https://genova.repubblica.it/sport/2021/03...amp_-293863887/
     
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    Il mio Presidente è Gianluca Vialli

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    "Era importante quanto la squadra in campo"

    In estrema sintesi il mio pensiero sulle società di calcio
     
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    Pisolo dovrebbe leggere l'articolo e vergognarsi della sua pochezza, mentre il nano dovrebbe farselo leggere e spiegare ma temo sia una impresa impossibile.. specialmente per quanto riguarda il capire.
     
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    Luca Vialli for President

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    CITAZIONE (sampd'oro @ 27/3/2021, 10:58) 
    Pisolo dovrebbe leggere l'articolo e vergognarsi della sua pochezza, mentre il nano dovrebbe farselo leggere e spiegare ma temo sia una impresa impossibile.. specialmente per quanto riguarda il capire.

    Temo non basterebbero nemmeno i disegnini
     
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    Vorrei dipingere i miei giorni coi colori dei tuoi occhi

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    Claudio Nassi, il primo direttore sportivo di Mantovani: “Lui era il top, era facile capirsi”


    Claudio Nassi ha condiviso tutto il percorso di Paolo Mantovani. Anche dopo il suo addio alla Sampdoria del 1982 non venne mai meno il rapporto personale con il presidente e la famiglia, che ancora continua. Trent’anni senza Mantovani, ma un ricordo indelebile. «Telefonai a Segre, medico personale e suo amico, e gli dissi che volevo vedere il presidente, prima che ci lasciasse. Il dottore mi disse di andare al Galliera, dove era ricoverato, ma non sapeva se mi avrebbe fatto entrare in camera. Quando arrivai, salutai la moglie, che era fuori, e subito il presidente mi fece cenno di entrare e non mi voleva più fare andare via. Un ricordo incancellabile».

    Perché fu scelto come direttore sportivo?

    «Ero alla Lucchese e vendetti Ferroni per 230 milioni alla Sampdoria di Lolli Ghetti. Venni poi a sapere che Mantovani, che all’epoca addetto stampa, decise allora che sarei stato il suo direttore sportivo, nel caso fosse diventato presidente, perché non era facile ottenere così tanti soldi per un giocatore di Serie C. Mandò “Pinella” Baldini a Pistoia, dove lavoravo, per contattarmi e fu facile scegliere di cambiare».

    È vero che Mantovani fu quasi costretto ad iniziare prima del previsto il suo ciclo in blucerchiato?

    «Si, aveva programmato l’ingresso nel 1982 e decise di anticipare i tempi per salvare la società da una situazione molto difficile dal punto di vista economico».

    Cosa la colpì subito di Mantovani?

    «Mi resi conto che avevo davanti una persona molto intelligente e di grande valore. Simpaticissimo, cordiale, fu facile capirsi. Il rapporto non si è mai interrotto, ero fuori dalla società, ma non ho mai mancato di dare la mia opinione. Con la signora e i figli continuo a restare in contatto, ho trovato persone eccezionali».

    Molto presto si parlò di “stile Sampdoria”

    «Quando sono arrivato, la società aveva un’ottima immagine, era sempre una delle più importanti in Italia, e beneficiava del fascino delle maglie, uniche al mondo. Si decise che nessuno doveva parlare, escluso presidente, allenatore e calciatori, in modo che la linea politica fosse unica e Mantovani non fosse mai contraddetto. Questo approccio finì per rafforzare l’immagine della società».

    L’inizio non fu facile, cosa complicò i primi anni?

    «I problemi personali del presidente fino al 1982. Senza questi intoppi, avremmo vinto la serie B già il primo anno. Mantovani era un fuoriclasse. Quando la Sampdoria ha vinto lo scudetto era il numero uno del calcio italiano. Il presidente della Lega e della Figc non facevano nulla senza sentire il suo parere». Quanti no gli ha detto al Presidente nel vostro rapporto?

    «Tanti. Una volta me lo disse: “Nassi, sa che fine avrebbe fatto un altro che mi ha detto tutti i no che mi ha detto lei?” ed io gli risposi; “Per questo mi paga. Poi tirerà le somme”. Non ho mai voluto pagare per errori non miei. Se mi proponeva di prendere giocatori come Braghin o Montesano e non ero d’accordo non avevo problemi ad esprimere la mia opinione. I nostri obiettivi dovevano essere ben diversi».

    C’è un acquisto che ricorda con particolare piacere?

    «Con Mantovani avevamo bruciato tutti ed acquistato i giocatori più importanti di C e B, ma la storia più divertente resta quella su Galia. La trattativa fu chiusa a Lugano, con Gattei e Vitali, presidente e direttore sportivo del Como, per due miliardi. Prima di firmare, Mantovani disse che aveva avuto dieci relazioni negative su undici sul giocatore, compreso l’allenatore in occasione dell’ultima gara di campionato, ma lo avrebbe preso lo stesso, perché si fidava della mia indicazione»

    Qual era la vostra strategia per battere la concorrenza?

    «Nessuno sapeva nulla e l’accordo veniva chiuso al primo incontro. L’unica eccezione fu Mancini. Per lui servì una trattativa lunga”.

    Cosa avrebbe voluto domandargli e non ha fatto? «Perché non avesse preso Redondo e Van Basten. Per il primo l’ho saputo dopo, il secondo non ho mai capito se non voleva urtare i leader della squadra oppure la suscettibilità di Berlusconi o dell’avvocato Agnelli. Potete immaginare cosa avrebbe potuto vincere la Sampdoria con Redondo al posto di Mikhailichenko e Van Basten».

    Quale è stata la sua maggiore soddisfazione professionale? «Era un proprietario ed un dirigente politicamente al top del calcio. Ritengo che il primo compito del direttore sportivo sia di “allenare” il presidente e Mantovani aveva capito tutto e poteva raggiungere qualsiasi traguardo».

    È possibile adesso un’altra Sampdoria, un altro Mantovani?

    «Sicuramente non un altro Mantovani, perché è uno dei grandi presidenti del calcio italiano. Il Milan ha avuto Berlusconi e Galliani, la Juventus Agnelli e Boniperti e la Sampdoria Mantovani».

    Avete mai avuto discussioni? «Mai. In caso contrario, avrei salutato, non ero certo un carattere facile. Non ho, però, mai fatto nulla senza avvisarlo e ho considerato sempre sacro il datore di lavoro. Il presidente resta l’unica figura insostituibile in una società di calcio».

    https://genova.repubblica.it/sport/2023/10...irsi-417646403/


    L’ex direttore sportivo della Sampdoria Claudio Nassi ha parlato degli acquisti che fece ai tempi dei blucerchiati dal Como, ecco i nomi
    Uno dei dirigenti sportivi che portò a Genova molti talenti importanti che permisero ai blucerchiati di incidere il proprio nome nell’albo dei vincitori è stato Claudio Nassi.

    L’ex direttore sportivo dei liguri ha raccontato alle pagine de Il Secolo XIX che molte delle sue fortune arrivano proprio dalla squadra che, questo sabato, si presenterà a Genova come avversaria della Sampdoria: il Como.

    Ai tempi, racconta Nassi, ci fu l’intermediazione di Mino Favini che favorì il rapporto tra le due società: «Mantovani voleva vincere. Ma non potevamo prendere Tardelli o Cabrini. E così cercavo i migliori talenti in B ed in C. Il responsabile del Como era inoltre un uomo che stimavo moltissimo: Mino Favini. Il Como era una bottega carissima, arrivato alla Samp decisi di provarci per Pietro, lo Zar. Mi chiese un miliardo e trecento milioni. Fusi? Era forte ma la SAmp aveva già Pari in mediana e Pellegrini come libero. Dissi a Mantovani, se vuole lo prenda, ma prima di lui acquisti Moreno Mannini. Prese Fusi pagandolo due miliardi, lasciandolo lì per un paio d’anni. E fece uno scambio incredibile: Guerrini al Como, Mannini alla SAmp, a zero. Lo riempii di complimenti. Aveva preso un difensore eccezionale»

    www.sampnews24.com/ex-sampdoria-na...tega-carissima/
     
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4 replies since 26/3/2021, 21:38   127 views
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